Ariccia non tace!!!

IL DIALOGO E L’ACQUA SANTA

LE LUSINGHE DEL POTERE BERLUSCONIANO

Posted by ariccianontace su 10 marzo 2011

ADISTA

36011. MODENA-ADISTA.  “Abbiamo bisogno di sentire l’eco delle parole di Gesù nelle parole dei Vescovi”: un gruppo di «cristiani della Chiesa di Modena» ha intitolato così la lettera indirizzata al vescovo della città, mons. Antonio Lanfranchi. La missiva, promossa all’inizio di febbraio dalla comunità cristiana di base del Villaggio Artigiano, nel giro di pochi giorni ha circolato moltissimo all’interno della diocesi, sostenuta e discussa da diversi gruppi ecclesiali, fuori e dentro le parrocchie.

«Ci rivolgiamo a lei – scrivono i credenti modenesi a mons. Lanfranchi – perché è il nostro pastore. Sappiamo che il suo ruolo e il suo ministero è proprio quello di ascoltare, confortare, tenere unito il gregge, cioè guidare il popolo cristiano e aiutarlo a vivere nella fede, nella speranza e nella carità. Vogliamo quindi esprimerle alcune nostre gravi preoccupazioni, con semplicità ma anche con tutta franchezza».

Segue un elenco che, quasi in un crescendo, manifesta tutto il disagio e lo sgomento che tante comunità cristiane vivono di fronte all’attuale scenario politico: «Siamo preoccupati perché vediamo il nostro Paese scivolare sempre più in una crisi generale, vissuta da molti con disperazione e senza vie d’uscita, crisi che rischia di compromettere l’unità stessa della Nazione, nei suoi aspetti istituzionali, politici e sociali. E la disperazione non è una virtù cristiana. Siamo sconvolti perché vediamo la classe politica che governa questo Paese sprofondare sempre più nel degrado morale, nell’arroganza dell’impunità, nella ricerca del tornaconto personale e dei propri amici, nel saccheggio della cosa pubblica e nella distruzione sistematica delle basi stesse del vivere civile e democratico. Siamo indignati perché questa stessa classe politica al governo ha ingannato e continua a ingannare i poveri con false promesse, con un uso spregiudicato e perverso dei mezzi di comunicazione, con l’esibizione ostentata di modelli di comportamento radicalmente contrari al comune sentimento morale della nostra gente».

Ma la preoccupazione maggiore, i cristiani modenesi la esprimono nei confronti della loro Chiesa: «Sappiamo – scrivono infatti – che i vertici della Cei e gli ambienti della Curia vaticana hanno deciso già da tempo di appoggiare la maggioranza di destra ancora oggi al governo. È opinione sempre più diffusa, anche tra i cattolici credenti e praticanti, che questa alleanza sia frutto di accordi di potere, volti a ottenere  privilegi per la Chiesa e legittimazione per il governo. Vale la pena di compromettere la credibilità dell’annuncio del Vangelo e l’immagine della Chiesa per un piatto di lenticchie?». Anche perché, proseguono i cristiani modenesi, in nome di questo accordo «si sono di fatto avallate politiche, alcune di stampo prettamente xenofobo,  del tutto contrarie non solo al Vangelo ma anche alla dottrina sociale della Chiesa». Le voci che nella Chiesa di base si sono sinora levate per denunciare questa pericolosa alleanza trono-altare vengono «sempre ignorate, censurate o minimizzate». Neppure adesso che «l’abisso morale e lo stile di vita inqualificabile dello stesso presidente del Consiglio sono sotto gli occhi di tutto il mondo», i vertici della Cei «trovano la forza e la dignità di pronunciare parole chiare, di uscire dalle deplorazioni generiche che riguardano tutti e quindi nessuno, di usare finalmente il linguaggio evangelico del sì  sì, no  no». Un atteggiamento che stride con il modo, assai diverso, con cui fu trattato il precedente governo Prodi, «che non solo non fu sostenuto, ma venne addirittura osteggiato, forse proprio perché più libero, sicuramente più laico e quindi meno disponibile ad accordi sotto banco».

«Occorre che ci si renda conto davvero che alla base della Chiesa sta aumentando il disagio, il dissenso, la sofferenza, il lento e silenzioso abbandono. L’amara sensazione di molti, giusta o sbagliata, è che i pastori abbiano tradito il loro gregge, abbiano preferito i morbidi palazzi di Erode alla grotta di Betlemme, abbiano colpevolmente rinunciato alla profezia. E questo non fidarsi di Dio, tecnicamente, è un comportamento ateo».

Di qui una proposta «che può sembrare provocatoria», ma che costituirebbe un segnale importante da parte delle gerarchie della Chiesa: «La Cei e il Vaticano dichiarino pubblicamente di rinunciare all’esenzione del pagamento dell’Ici sulle proprietà della Chiesa che siano fonti di reddito; che abbiano il coraggio di dire di no a questa proposta scellerata. Acquisterebbero un po’ di stima e credibilità, perché questo, fra i tanti, è uno scandalo che grida vendetta». (valerio gigante)

 

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A BAGNASCO, L’APPELLO DI PRETI E PARROCI DA TUTTA ITALIA

Posted by ariccianontace su 7 febbraio 2011

ADISTA

35978. ROMA-ADISTA. Il card. Angelo Bagnasco all’ultimo Consiglio Permanente della Cei non ha voluto che la sua prolusione – un discorso cauto sia nella scelta dei termini che nella attribuzione delle responsabilità dell’attuale crisi politica – potesse essere interpretata come il de profundis della gerarchia ecclesiastica all’attuale governo. Allo stesso modo, il segretario della Cei, mons. Mariano Crociata, pur parlando di “disastro antropologico” in atto nel Paese, ha però ricordato che “la questione morale riguarda tutti” e che la ricerca del bene comune non deve essere “piegata, strumentalizzata”, altrimenti “rimane tacciabile di essere una difesa di parte”. Serve invece “uno sforzo a superare il clima di rissa e faziosità per affrontare i problemi che riguardano tutti”.

Tutti colpevoli, insomma, e quindi tutti innocenti. Così, dai vertici della Chiesa la presa di distanza da Berlusconi (che peraltro non viene mai nemmeno nominato nei discorsi ufficiali) è talmente flebile da non aver ottenuto altro risultato che quello di suscitare reazioni sgomente ed indignate da parte di una base, quella cattolica, che ormai da tempo ha assunto nelle sue componenti maggioritarie un atteggiamento fortemente critico rispetto al sistema di potere berlusconiano, che però non trova voce e rappresentanza nelle istituzioni e nei media ufficiali della Chiesa, se non nella voce isolata di qualche vescovo o negli editoriali di Famiglia Cristiana. Ma che la misura sia ormai colma, lo dimostrano le dure dichiarazioni, del tutto dissonanti da quelle pronunciate con labbra imburrate dei vertici ecclesiastici, di associazioni, movimenti, gruppi del laicato cattolico, sia a livello diocesano che nazionale; le parole scandalizzate di intellettuali ed esponenti del mondo ecclesiale; gli editoriali della stampa diocesana (v. Adista n. 08/11); le lettere di protesta pubblicate da tante testate cattoliche. Anche alla redazione di Adista, dopo la nuova esplosione del “Ruby-gate”, sono arrivate molte lettere ed interventi di credenti, critici in particolare rispetto alla posizione “terzista” assunta dalla loro Chiesa nei confronti di fatti gravissimi. Tra le tante, vi proponiamo quelle inviate da parroci e preti da tutta Italia; tutte esprimono profonda preoccupazione e chiedono con urgenza alla Cei un deciso cambio di rotta.  (valerio gigante)

Don Ferdinando Sudati – vicario parrocchiale a Paullo (Mi):
«Le gerarchie ecclesiastiche (vaticane e italiane), di fronte a un presidente del Consiglio che va mandato a casa con ignominia, hanno preso posizione dandogli un buffetto accompagnato dalla raccomandazione: “Biricchino, non farlo più!”. I rappresentanti della Cei, per una tragica par condicio, hanno dato lo stesso buffetto anche alla magistratura. Che, date le circostanze, è risultato piuttosto uno scapaccione, con effetti disastrosi. Potevano tacere del tutto, se ritenevano di non dover entrare in politica, ma siccome non tacciono e in politica ci entrano abitualmente, tanto valeva che facessero sentire qualcosa che avesse minimamente il sapore evangelico della parresìa, della chiarezza e dell’integrità».

Don Romeo Vio – parroco a Titignano (Pi):
«La cosa che più mi è dispiaciuta in questi anni è stato l’atteggiamento di coloro che di Berlusconi sono stati i sostenitori. Ad esempio l’on. Casini, che ha consentito al presidente del Consiglio di arrivare al potere anche se poi per i suoi interessi l’ha mollato. Ma soprattutto è l’atteggiamento tenuto da gran parte della Chiesa “ufficiale” che mi ha messo in “crisi di amore” per la Chiesa. Se facciamo una analisi, sono state veramente poche le voci critiche: tolta la vostra e quella di Famiglia Cristiana e di qualche altra rivista della sinistra cattolica la maggioranza dei vescovi e della stampa cattolica o ha taciuto o addirittura ha in certo senso giustificato e coperto le malefatte del premier “contestualizzando” perfino le sue bestemmie. Ora che sta per affondare, speriamolo veramente, finalmente la Cei, dopo aver rischiato di perdere la sua credibilità, sembra uscire dal compromesso; ma viene da pensare che è tardiva la testimonianza di chi pugnala un politico ormai – speriamo – al tramonto».

Don Giorgio Rigoni – parroco a Patronà (Cz):
«Troppo facile oggi infierire su un uomo finito, un politico fallito che con tanta impudenza ma “intelligenza” ha trattato un popolo sovrano da servi cretini! Un uomo ormai solo, perché circondato da ruffiani che come cani si contendono l’osso, avrebbe avuto il diritto ad una voce diversa da quella dei suoi cortigiani, un pastore che lo ammonisse… come sarebbe dovuto avvenire, all’aeroporto di Ciampino, il 26 settembre 2009, quando il papa volle incontrare Berlusconi. E invece venne fuori un colloquio solo patetico!
La Chiesa “alta” anche in questo caso si è dimostrata piccina, calcolatrice e accattona, pronta a virare rotta ad ogni spirar di vento che le possa portare un pur minimo vantaggio (economico). “Vedete quanto è pericoloso tacere? Muore quell’empio e giustamente subisce la morte. Muore per la sua iniquità e per il suo peccato. È ucciso infatti dalla sua negligenza. Egli avrebbe potuto ben trovare il Pastore vivente che dice: ‘Io vivo, dice il Signore’. Ma non lo ha fatto, anche perché non ammonito da chi era stato costituito capo e sentinella proprio a questo fine. Perciò giustamente morirà, ma anche chi ha trascurato di ammonirlo sarà giustamente condannato”.
Dal Discorso sui pastori di sant’Agostino, vescovo (Disc. 46, 20-21; CCL 41, 564-548)»

Don Silvano Nistri – Sesto Fiorentino:
«È un momento di grande sofferenza per chi ama la Chiesa.
Io prego:
– perché i Vescovi abbandonino il sogno di una nuova cristianità. Il beato Ozanam, impegnato a liberare la Chiesa di Francia dalle nostalgie della restaurazione, diceva: «Si sogna un Costantino che tutto d’un colpo riconduca i popoli all’ovile. No, no… le conversioni non si fanno con le leggi, ma con le coscienze…»;
– perché sia ridotta al minimo la Roma curiale, oltretutto oggi di così scarso valore. Un Casaroli o un Cicognani non sarebbero andati a cena da Vespa, né ci sarebbe stato un Fisichella a discettare da leguleio di terza categoria sulla bestemmia o sulla comunione ai divorziati…
– perché i nostri vescovi, impegnati nella pastorale, in genere migliori di quelli che stanno a Roma, parlino alle riunioni della Cei e magari esigano, nel caso lo facessero, che le loro voci arrivino anche a noi… Ci farebbe piacere».

Don Mario Piantelli – parroco di San Michele Arcangelo e Castelnuovo, Crema:
«Mi associo volentieri alle richieste che da molte parti d’Italia (e non solo) vengono indirizzate ai vertici ecclesiastici di alzare forte la voce e di compiere azioni profetiche nei confronti dell’attuale governo Berlusconi. È necessario un supplemento di libertà evangelica per sganciarsi decisamente da un sistema di governo che, attraverso benefici e privilegi, sembra avvantaggiare il “mondo ecclesiastico”, in realtà aliena e impoverisce sia a livello culturale sia a livello socio-economico i credenti che ripongono fiducia non nell’amore al potere ma nel potere dell’amore».

Don Giovanni Barbareschi – Milano:
«Sono un sacerdote milanese di 89 anni, medaglia d’argento della Resistenza.
Ho partecipato alla redazione e diffusione del giornale clandestino Il Ribelle e per questo ho sofferto il carcere. Non è certo questa l’Italia che noi, “ribelli per amore”, sognavamo e per la quale abbiamo lottato.
In questi giorni ho aderito all’Associazione Libertà e Giustizia (uno dei promotori è l’amico Gustavo Zagrebelsky) firmando l’appello “per esigere le dimissioni e liberarci dal potere corrotto e corruttore di Silvio Berlusconi”».

Don Michele Ruggieri – parroco a Bucaletto (Pz):
«Siamo al colmo di ogni misura! Sono parroco in una realtà periferica di Potenza, dove non si riesce ad eliminare, ancora dopo 30 anni, una vera e propria ’baraccopoli’ fatta di prefabbricati leggeri insediati per dare alloggio provvisorio ai terremotati del 1980 e che avrebbero dovuto avere la durata di 10 anni, al massimo. Invece, pur essendo per buona parte fatiscenti, continuano ad essere alloggi provvisori per famiglie in difficoltà, per anziani soli, per immigrati, per persone con gravi disagi sociali e psicologi. Avere a che fare ogni giorno con problemi del genere ed assistere impotenti a questo scenario di uomini politici – che, con l’ostentazione del potere, della “iniqua ricchezza”, come la definisce il Vangelo, quotidianamente umiliano e schiaffeggiano la povertà, la debolezza, la fragilità sempre crescente di tanta gente che non ha il necessario per sopravvivere – non può che suscitare indignazione. Nessun motivo di opportunità politica potrebbe ancora giustificare il silenzio della Chiesa nelle sue diverse espressioni e nei suoi diversi livelli, e neanche l’atteggiamento diplomaticistico della gerarchia, formalmente equidistante, di fatto poco chiaro per i tanti cittadini non abituati al linguaggio specialistico della politica».

Don Luciano Locatelli, parroco di Stabello di Zogno (Bg):
«Non voglio dire: «Ma io ve l’avevo detto che tutto sarebbe andato a puttane!» (con tutto il mio rispetto per chi è costretto a fare questa attività), però questo è quello che succede quando anche noi, Chiesa  (tutti, dai “pezzi da novanta” ai piccoli parroci di montagna come me), ci mostriamo più preoccupati  per la salvezza dell’economia che per l’economia della salvezza.  Ricordo anche che a chi ha ricevuto tanto, sarà richiesto molto di più».

P. Candido Poli, missionario a a Piaui – Brasile:
Sono venuto nel Nord del Brasile nel 1952, prete da tre anni. In Italia ho fatto solo ferie, ogni tre, 4, 5 e anche 8 anni, ma da alcuni anni (ne ho 87!) mi tengo in contatto attraverso i siti internet dei giornali. L´Italia va male. Ma ci sono ancora tante famiglie sane. In politica troppi vogliono solo essere galli. La Chiesa per essere missionaria deve essere carismatica. Dove é il carisma della Chiesa oggi? Interviene per tutto e per niente, e all´ora necessaria si salva con frasi ambigue, allusive, che non incidono.

 

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”Il Papa mi delude anche piu’ del Cavaliere”

Posted by ariccianontace su 16 gennaio 2011

Don Andrea Gallo contro la Chiesa che perdona tutto per salvare i privilegi
di Beatrice Borromeo – 15 gennaio 2011

Com’è possibile che dal cardinal Ruini a Bagnasco, da Fisichella fino al Santo Padre nessuno si indigni per il comportamento di Silvio Berlusconi?”.

 

Don Andrea Gallo, animatore della comunità genovese di San Benedetto del Porto, è famoso per essere ostile alle caste vaticane. E il Cavaliere non gli è mai piaciuto. Ma nel giorno in cui rimbalza per il mondo la notizia che il presidente del Consiglio è sotto inchiesta per concussione e favoreggiamento della prostituzione minorile, il prete genovese è molto più arrabbiato con il Papa che col premier.

Don Gallo, si stupisce ancora del fatto che la Chiesa non abbia niente da dire?
Sono ripugnato. A 82 anni e mezzo mi sento autorizzato a dire che è insopportabile che non ci sia una presa di posizione contro queste sconcezze. Anzi: le gerarchie ecclesiastiche continuano a sostenere Berlusconi.

C’è una soglia oltre la quale anche il Vaticano dirà “adesso basta davvero”?
Non c’è, perché alla Chiesa non importa più nulla dei poveri e dei deboli. Vive di privilegi, vuole difenderli e ne vuole conquistare di nuovi. Le pare normale che il Papa vada a trovare il sindaco di Roma in Campidoglio il giorno dopo che ha azzerato la giunta?

Quali sono le contropartite concrete, per la Chiesa, di questa benevolenza?
Basti pensare all’8 per mille o ai contributi alle scuole cattoliche, che poi di cattolico non hanno proprio nulla.

Tutto qui?
C’è anche l’esenzione fiscale sugli immobili della Chiesa, che non pagano l’Ici. O le politiche bioetiche. Il Santo Padre è tornato a parlare contro l’educazione sessuale, senza capire che togliere la consapevolezza ai ragazzi è proprio ciò che li spinge a svendersi, drogarsi, autodistruggersi.

Che opinione si è fatto delle ragazzine che, come disse Veronica Lario, “si offrono al drago”?
Il problema è che da almeno un decennio i giovani crescono senza un’idea di futuro, sapendo che non avranno lavoro né aiuti.

Forse però Ruby era soddisfatta di mettere un piede nel mondo di Arcore.
Certe ragazze capiscono che vendersi è una possibilità per ottenere quello che vogliono, ma è anche un processo di autodistruzione con sofferenze indicibili. Nella mia comunità lavoro da anni con le prostitute: sono rovinate, vuote dentro.

Non sviluppano una corazza per evitare di soffrire del loro lavoro?
No. Penso che Ruby e le altre vedano Berlusconi come una porta d’accesso, che sfruttino i suoi vizi. Ma si vergognano, sono schifate da chi hanno davanti. E si fanno anche schifo da sole.

Se i racconti di queste ragazze sono veri, il presidente del Consiglio cerca proprio questo tipo di donna.
Questo perché è un amorale. Un uomo che agisce fuori dalla Costituzione, dalla giustizia, dalla legalità. E dalla civiltà. Dice che lavora tanto e che si toglie qualche sfizio, ma nella sua vita vedo solo sfacelo e tristezza.

I suoi colleghi la pensano diversamente: continuano anche a dargli la comunione.
Sostengono che è single, pur sapendo benissimo che è doppiamente divorziato. Monsignor Rino Fisichella ha detto che bisogna contestualizzare persino le sue bestemmie!

Che effetto ha questa indulgenza ad personam sui fedeli?
Ovviamente si allontanano dalla Chiesa, così come dalla politica. Le gerarchie non capiscono che questa incoerenza farà scomparire la Chiesa, e morire la religione.

Quindi?
Sia i cittadini che la Chiesa devono riscoprire la capacità di indignarsi e di reagire. Perché siamo tutti responsabili.

Tratto da: Il Fatto Quotidiano 

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Su Berlusconi il silenzio complice e immorale della Chiesa

Posted by ariccianontace su 24 novembre 2010

Lettera aperta al card. Angelo Bagnasco.

Di don Aldo Antonelli, parroco

Signor Cardinale,

mi rivolgo a Lei come Presidente della Conferenza Episcopale Italiana per esprimerle il mio disagio e porle delle domande.

 In questi ultimi tempi si è andata ingrossando la valanga di volgarità e di oscenità che già da tempo investe il paese Italia e che sta cancellando, ogni giorno di più, ogni traccia di pudore, senso del limite, coscienza di dignità e che ha imposto un degrado dell’etica pubblica, insomma tutte quelle virtù che con fatica noi parroci cerchiamo di impiantare e tener vive nell’anima dei nostri fedeli.

 Da tempo anche i laici più avvertiti lamentano i pericoli di questa deriva, se già nel lontano 2007 Eugenio Scalfari su Repubblica denunciava il pericolo di un andazzo che “vellica gli istinti peggiori che ci sono in tutti gli esseri umani. Impastando insieme illusorie promesse, munificenza, bugie elette a sistema, tentazioni corruttrici, potere mediatico. Una miscela esplosiva, capace di manipolare e modificare in peggio l’antropologia di un intero paese” (Repubblica, 5.11.2007).

 Il disagio di fronte a questo stato di cose è ancor più esacerbato dalle cene allegre del segretario di Stato, dalle parole equivoche di Mons. Fisichella e dal silenzio correo di Lei, presidente della CEI.

 Soprattutto le parole di contestualizzazione di mons. Fisichella che mirano a giustificare ciò che invece bisognerebbe condannare e i Suoi silenzi prudenziali che tendono a “coprire” ciò che non si può più tacere, appaiono a noi, parroci di periferia, inequivocabilmente immorali e omicidi.

 Noi, cui le bestemmie dei violenti fanno meno paura che il silenzio degli onesti.

 Cosa altro deve avvenire perché finalmente si oda il Vostro grido e la Vostra condanna? Quale maledizione perché Voi Vescovi finalmente parliate? Il disagio, alla base, è grande.

 E in questo disagio si fa strada lo smarrimento, lo sconcerto, la desertificazione degli orizzonti, il dubbio di non essere più all’altezza delle problematiche che la realtà impone. E sorgono delle domande, grosse e gravi come macigni.

 Sinteticamente, per non trattenerla oltre il dovuto, ne enumero tre.

 1. Circa le parole di mons. Fisichella, le chiedo: ci possono essere situazioni nelle quali la bestemmia diventa lecita? E, nel caso, quali sono? Noi parroci vorremmo conoscerle queste situazioni, individuare questi contesti, anche per risparmiare ai nostri fedeli inutili rimorsi di coscienza…

 2. Sempre in tema di “contestualizzazione” le chiedo: perché questa “accortezza cautelativa” è stata usata per Berlusconi mentre è stata accantonata per casi ben più gravi e drammatici come per Piergiorgio Welby ed Eluana Englaro? Forse che nell’applicazione della legge morale, anche nella Chiesa esistono corsie preferenziali per l’imperatore ed impraticabili ai comuni mortali?Ricordo che per i funerali religiosi di Welby, vergognosamente vietati dalla chiesa, fui contattato dai familiari per una benedizione in aperta piazza; declinai l’invito, ricorrendo quel giorno la Domenica della Palme, ma anche per una mancanza di coraggio di cui oggi mi vergogno.

 3. Quanto ai suoi silenzi, che sembrano programmati al fine di barattarli con vantaggi corposi circa, per es., il finanziamento delle scuole cattoliche, le chiedo: che differenza c’è tra una prostituta che vende il corpo per danaro ed una chiesa che, sempre per danaro, svende l’anima? Nella mia sensibilità morale una differenza c’è: una donna povera ha comunque il diritto a vivere, mentre la chiesa, per vivere, memore delle parole del suo Maestro, deve pur saper morire.

 Questa lettera, signor Cardinale, la invio, per conoscenza, anche al mio Vescovo e resterà fraternamente “riservata”.

 Voglio sperare in una sua pronta risposta.

 In caso contrario mi sentirò libero di farla conoscere ai miei parrocchiani e a quanti frequentano la chiesa per la quale svolgo servizio.

Antrosano, 4 Novembre 2010

Fonte: micromegaonline (23 novembre 2010)

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Il disagio dei cattolici e la speranza del Vangelo

Posted by ariccianontace su 30 settembre 2010

Il disagio dei cattolici e la speranza del Vangelo, di Felice Scalia

pubblicata da Adista il giorno giovedì 30 settembre 2010 alle ore 9.50

Basta che qualcuno ti conosca come cattolico per sentire su di te diffidenti occhi scrutatori ed una sorta di compassione più o meno benevola. Un simile disagio non risparmia nessuno: da chi si sposa in chiesa, al prete che fa lezione di religione a scuola. Appartieni alla “Chiesa del no”, alla Chiesa che tace sulle derive xenofobe e razziste di governi e amministrazioni, che parla solo se è in pericolo l’8 per mille, che non ha misericordia… Preoccupato dell’uomo e della vita abietta che conduce la maggior parte dell’umanità, il cristiano è lacerato dal trovarsi in mano un Vangelo della vita, ma di appartenere ad una Chiesa che questo Vangelo – a giudizio di tanti – lo oscura, lo tradisce, lo strumentalizza. Questo è il vero “disagio” di tanti cattolici oggi, e per questo si sono riuniti a convegno a Napoli – gli scorsi 17-19 settembre – gruppi e persone che vogliono dire “basta” ad una situazione pastorale insostenibile, ma al di fuori di quella sottile forma di disperazione che è la nuda contestazione o il lamento. Si sono presentati come gli inguaribili sognatori dell’utopia del Regno.

L’iniziativa, si sa, parte da lontano, dai tempi in cui Giuseppe Alberigo, don Pino Ruggieri e un pugno di amici “perplessi”, tentavano di correre ai ripari per evitare la minaccia della scomunica a quanti avessero votato la proposta sui “Dico”. Ma il “caso” metteva in evidenza problemi ben più radicali: la fedeltà o meno al Vangelo, la prevalenza della legge sulla libertà del credente, il serpeggiare vittorioso di un’interpretazione riduttiva del Vaticano II, lo strapotere degli apparati istituzionali, la controtestimonianza dei cattolici rispetto a problemi mondiali che avrebbero richiesto molto più coraggio e libertà. Ne vennero fuori i convegni di Firenze 1 (2009) e Firenze 2 (2010) incentrati sul tema generale “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. Anche questo incontro di Napoli si innesta su quella pianta. “Pregare e fare ciò che è giusto” richiama esplicitamente la proposta di un grande testimone della fede (Dietrich Bonhoeffer) in momenti in cui una forma criminale di idolatria tentava di avere il silenzio connivente della stessa Chiesa.

Ci sembra di poter dire che la Chiesa è uscita sempre dalle crisi in modo autentico quando ha ricominciato a pensare, ad interrogare il suo Cristo, anche ascoltando profeti e testimoni che non hanno paura di proclamare e vivere la forza rivoluzionaria del Vangelo. Meglio: quando si è fatta illuminare e convertire da quel Vangelo che annunziava. Ha sprigionato così incredibili energie di speranza. Non serve a nulla lo scisma, ed i cristiani di Napoli lo sottolineano con chiarezza.

Napoli insegna che, se vogliamo che la fede e l’amore abbiano un futuro, lasciata da parte ogni voce rabbiosa, è fondamentale aprirci alla speranza. Una speranza fondata però, non velleitaria e passiva. Napoli è anche il segno che non si deve ricominciare da zero. La Chiesa che vuole vivere del primato del Vangelo, essere nel mondo ma non del mondo, che ripudia ogni libido dominandi, questa Chiesa fedele al “Cristo-povero” e al Concilio, esiste e si esprime in forme innumerevoli. Certo ha estremo bisogno di non essere demonizzata o “eretizzata”. Questa porzione di Chiesa si è autoconvocata a Napoli, legittimata dalla sua fede, dalla sua passione per il destino della Terra, dal suo amore per Dio ed il suo “Regno” di amore.

* Gesuita, teologo dell’Istituto Ignatianum di Messina

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DIO PADRE O “PADRINO”?

Posted by ariccianontace su 27 settembre 2010

FONTE ADISTA

35779. ROMA-ADISTA. “Come può la maggioranza dei mafiosi dirsi cattolica e frequentare le chiese? Qualcosa certamente non funziona: o nella loro testa o nella teologia cattolica o in tutte e due.” È l’interrogativo posto dal filosofo e teologo Augusto Cavadi – esperto dei rapporti fra Chiese e mafie e autore, fra l’altro, del Dio dei mafiosi (San Paolo, pp. 240, euro 18) – al convegno “Sotto due Cupole” (v. notizia precedente).”Non si tratta tanto di scomunicare i mafiosi, ovvero di cacciarli fuori dalla comunità ecclesiale, quanto di elaborare una teologia davvero evangelica a cui i mafiosi siano allergici e grazie alla quale si tengano a debita distanza dalla Chiesa”, ha detto Cavadi. “Da una Chiesa povera e fraterna, i mafiosi, che perseguono potere e denaro, si autoescluderebbero da soli e anzi la considererebbero loro nemica. Invece in questa nostra Chiesa potente, gerarchica, verticistica, omofoba e ritualistica i mafiosi si trovano bene, perché vi trovano molte analogie con i codici e mafiosi. Insomma, io credo che se la patologia è ricorrente, e del resto in altri contesti storico sociali con la Chiesa cattolica si sono trovati bene anche diversi regimi dittatoriali e militari, allora non è più patologia, bensì fisiologia. E questo significa che il problema non sono solo i singoli uomini di Chiesa compiacenti con i mafiosi, ma una teologia che non produce una visione del mondo incompatibile con la visione che del mondo ha la mafia”. 

Ma quali sono questi elementi della teologia cattolica ‘intonati’ alla visione mafiosa? Cavadi ne ha elencati alcuni: “Un ambiguo concetto di Dio, non sempre presentato come Dio Padre ma spesso come onnipotente, severo e implacabile, che dà e toglie la vita: quasi un ‘dio padrino’. Un’altrettanta ambigua immagine di Cristo, in molte occasione assai distante dal Gesù di Nazareth che annuncia il Regno di Dio per i poveri. E poi una Chiesa gerarchica, costruita più sul modello dell’Impero romano che sulla comunità democratica degli apostoli. Con questo non intendo sostenere che la teologia cattolica sia ‘mafiogena’, cioè produttrice di mafia, tuttavia è vero che contribuisce alla strutturazione del particolare contesto culturale nel quale la mafia si è costituita e dal quale mutua simboli, credenze e pratiche. E allora si tratta di rivisitare questa teologia per renderla incompatibile ai codici mafiosi e antipatica ai mafiosi stessi, a partire proprio dai quei tre elementi: un Dio senza antropomorfismi, un Cristo liberante e una Chiesa fraterna, povera e diaconale”. Se cambia questa teologia, ha aggiunto Cavadi, si potrà risolvere anche la questione di don Puglisi che il Vaticano non vuole dichiarare martire, come invece chiedono molte associazioni ecclesiali di base palermitane (v. Adista nn. 61 e 71/10), “perché sarà martire anche chi lotta per la giustizia, come appunto ha fatto don Puglisi”. “Il Vaticano – ha aggiunto Giovanni Avena, direttore editoriale di Adista, che ha moderato il convegno – rifiuta ancora il riconoscimento del martirio di don Puglisi con un’argomentazione speciosa: il titolo di ‘martire’ può essere tributato solo ai cristiani ammazzati ‘in odio alla fede’. E siccome non si considera la mafia né pagana né atea, perché anzi osserva le pratiche religiose, la teologica conseguenza è che i mafiosi di Brancaccio non potevano uccidere don Pino in odio alla loro stessa fede, ma solo perché a Brancaccio ostacolava le loro imprese. Insomma ‘se l’era andata a cercare’, come qualche giorno fa ha detto l’ex presidente del Consiglio Giulio Andreotti parlando di Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore del Banco Ambrosiano di Sindona ucciso nel 1979″. 

Dura l’autocritica di don Luigi Ciotti, presidente di Libera: “A fronte dell’impegno di pochi vescovi, diversi preti e gruppi cattolici di base, ci sono ancora troppe ambiguità e compiacenze da parte di molti uomini di Chiesa nei confronti della mafia. Per questo mi auguro che Benedetto XVI, che il 3 ottobre sarà a Palermo, dica parole forti e chiare sull’incompatibilità fra mafia e Vangelo. La Chiesa deve avere il coraggio della denuncia, deve sporcarsi le mani per la giustizia, come hanno fatto don Puglisi e don Peppe Diana. Ma io vedo ancora troppi silenzi e troppe ambiguità, e silenzi e ambiguità non hanno giustificazioni”. (l. k)

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WAKA WAKA FRANCESCANA

Posted by ariccianontace su 9 settembre 2010

Simpaticissima “performance” di un nutrito gruppo di frati e suore in occasione della Marcia Francescana per il perdono di Assisi.

I numerosi giovani presenti sembrano gradire in modo particolare l’originale e coinvolgente spettacolo.

W i frati francescani!!!

http://www.youtube.com/watch?v=OgiQlod0HCg

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Il Vangelo di domenica 5 settembre 2010

Posted by ariccianontace su 3 settembre 2010

Lc 14, 25-33

In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro:
«Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo.
Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo.
Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”.
Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace.
Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».

Tanta folla dietro a Gesù.

In cerca di cosa? Umanità confusa e sbandata alla ricerca di un senso, di un perché, di un indirizzo …

Folla che avanza, sospingendosi reciprocamente, sull’onda di un’emozione collettiva che si alimenta con l’emozione dell’altro, un fremito che passa da pelle a pelle … Un brivido, una sensazione, qualcosa che vibra nel cuore … forse è questa la verità, la risposta?

Quante folle emotive e suggestionate seguono presunti leader o capi carismatici o semplicemente il mito del “volemose bene”, del “ma come stiamo bene insieme” …? Cosa c’è di più facile che innamorarsi di un’emozione, sull’onda della quale lanciare proclami di vita, annunciare scelte decisive e drastiche, giurare impegno e perseveranza per un ideale, un progetto, una comunità, un gruppo, degli amici … ?

Ma ecco che Gesù, a questa folla, dice parole nuove ed impreviste, aspre, ruvide, sgradevoli, parole pesanti come pietre, taglienti come spade, parole sconcertanti … che, però, se ascoltate con attenzione, si rivelano limpide e brillanti.

Innanzitutto Gesù, nel rivolgersi alla folla, ne opera la trasformazione in un insieme di individui singoli e singolari. Egli non parla alla moltitudine indistinta, ma a ciascuno nella sua soggettività: “se uno” … “colui che” … “chi” … “costui” … “chiunque” …

Dunque la prima operazione è proprio quella di far riscoprire ad ognuno la propria individualità e la conseguente responsabilità nelle scelte. Anche in mezzo alla folla più grande, tu sei sempre “uno”.

A questo individuo – uomo, Gesù dà le sue “ricette” di vita.

Libertà.

Nessun legame umano deve renderci schiavi, al punto da condizionare l’orientamento e la piena realizzazione della nostra vita, da influenzare le scelte di fondo, da frenare la tensione appassionata verso i nostri ideali. Nessun legame, compreso quello originato da noi stessi, dalle nostre convinzioni, dai nostri schemi mentali, dalle sovrastrutture del gruppo sociale a cui vogliamo appartenere.

Concretezza.

Non basta un’adesione intellettuale o spirituale, occorre agire concretamente e pubblicamente, sollevando e tenendo bene in vista la croce, il proprio impegno d’amore, lavorare per il regno nella quotidianità in tutti i contesti in cui la vita ci conduca.

Ragione.

Qui Gesù stupisce davvero, soprattutto chi è convinto che la fede e la scelta della sequela appartengano alla sfera dell’istinto e dell’irrazionalità. L’invito a considerare l’aspetto progettuale nella propria vita è inequivocabile. E’ saggio, dunque, prima di lanciarsi in un’impresa, calcolare i mezzi necessari e valutare le proprie forze, per evitare fallimenti inevitabili.

Ma … ecco la contraddizione: “Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo”.

Assurdo, a prima vista.

Quindi, per chi volesse seriamente e “con successo” diventare discepolo di Gesù, la conseguenza “ragionata” dopo un’attenta valutazione delle proprie risorse personali,sarebbe quella di rinunciare a tutto?

Eppure, a ben guardare, il senso c’è.

E’ chiaro che rispetto alla realizzazione del Regno di Dio, come espresso ad esempio nelle Beatitudini, qualsiasi progetto basato solo su risorse umane sia destinato a fallire miseramente. Qualsiasi costruzione di comunità, progetto di volontariato, tentativo di condivisione, pur se animato dalle migliori intenzioni, prima o poi si infrangerà contro i limiti della natura umana.

Allora il punto è proprio acquisire la consapevolezza di questa inadeguatezza intrinseca e, per così dire, fisiologica delle proprie risorse, comprendendo che da soli non ce la possiamo proprio fare.

Abbiamo bisogno di Qualcuno. Qualcuno che possieda risorse infinite ed inesauribili e le metta a nostra disposizione senza limiti … Che colmi d’amore straripante ogni nostra lacuna, ogni errore, ogni colpo mancato, ogni frustrazione, ogni sconfitta (“… chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla” – Gv 15,5).

Abbiamo bisogno di percorrere nuove strade, uscire dagli schemi consueti, sterili e asfittici, aprirci a più ampi orizzonti e arricchire la nostra vita di nuove dimensioni. Ma per fare questo occorre viaggiare leggeri, senza bagaglio, senza impedimenti.

Rinunciare ai propri “averi”, avendone compresa l’inadeguatezza.

Non è poi così illogico.

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Signornò. A Cagliari, una comunità parrocchiale si ribella al generale vescovo.

Posted by ariccianontace su 4 agosto 2010

Pubblichiamo un interessante articolo apparso su ADISTA NOTIZIE.

C’è da riflettere …

35729. CAGLIARI‑ADISTA. “Lei è abituato a comandare, per questo non è capace di ascoltare”: più che le proteste per il trasferimento del parroco, è questo il cuore della dura contestazione che i fedeli della chiesa di Sant’Eulalia, a Cagliari, hanno rivolto all’arcivescovo della città, mons. Giuseppe Mani, arrivato nella comunità per annunciare la fine del mandato e il conseguente spostamento del parroco don Mario Cugusi. Ed è la seconda volta in poche settimane ‑ dopo la lettera dei parrocchiani di San Pio X a Livorno che, in seguito all’improvvisa e immotivata rimozione del loro viceparroco, hanno scritto al vescovo per lamentare il “sistema feudale” dell’istituzione ecclesiastica (v. Adista n. 57/10) ‑ che in Italia una comunità parrocchiale prende la parola pubblicamente, rivolgendosi direttamente al proprio vescovo, per denunciare la gestione verticale del ministero e criticare le resistenze delle gerarchie ecclesiastiche ad un dialogo franco e fraterno con il popolo di Dio.
A Cagliari la notizia del trasferimento di don Cugusi si era diffusa in via informale, e così la sera del 17 luglio mons. Mani ‑ già ordinario militare per l’Italia dal 1996 al 2003 (e quindi con i gradi di generale di corpo d’armata) distintosi per uno spiccato attaccamento alla divisa e per uno spinto militarismo (v. Adista nn. 13, 77 e 84/96; 49 e 67/97; 7/98; 39, 43, 47 e 65/99; 51/00; 55/01; 19/03) ‑, si è recato in parrocchia per un’assemblea in cui avrebbe dovuto spiegare la rimozione del parroco, che non era stata ufficialmente comunicata né al Consiglio pastorale né alla comunità dei fedeli. Ma in chiesa ‑ dove l’arcivescovo ha preteso che si tenesse l’assemblea nonostante fosse già stato allestito un altro spazio ‑, alle prime timide contestazioni dei parrocchiani, ha perso la calma e ha detto: “Questa non è una chiesa, è una baracca”. A quel punto le proteste sono esplose e i fedeli hanno chiesto conto di quella che hanno percepito come un’offesa nei loro confronti: “Lei ha offeso la nostra comunità e tutti i sardi, un vescovo non può esprimersi in questo modo nei confronti dei fedeli”. Dopodiché mons. Mani si è fatto il segno della croce, ha abbandonato l’assemblea e si è diretto verso la sacrestia, seguito da un gruppo di parrocchiani, fra cui l’antropologo Bachisio Bandinu (già direttore del quotidiano L’Unione sarda), componente del Consiglio pastorale, che l’ha invitato a giustificare la frase ed a riprendere il dialogo: “Lei è venuto qui anche per ascoltare, andiamo in un’altra sala e ci ascolti, se vuole parlo solo io a nome dei parrocchiani”. Ma l’arcivescovo è stato irremovibile: “Avrei voluto comunicare la mia decisione al Consiglio pastorale ma così non si può dialogare”, ha ripetuto. “Lei è un generale, sa solo imporre, ma noi non siamo l’esercito, siamo la Chiesa”, hanno replicato alcuni fedeli a mons. Mani che ormai, guadagnata l’uscita, era salito in macchina per allontanarsi velocemente.
Dal 1988 parroco a Sant’Eulalia, molti nel quartiere lo apprezzano e riconoscono a don Cugusi di aver dato grande slancio e impulso alla comunità parrocchiale e rivitalizzato il territorio, aprendo la parrocchia agli immigrati, attivando un centro sociale e un teatro, spalancando le porte agli ortodossi ‑ che in parrocchia possono svolgere le loro celebrazioni liturgiche ‑ e avviando una serie di attività sociali e culturali. Insomma un prete assai impegnato, che potrebbe aver contrastato od ostacolato qualche interesse, come don Mario stesso ipotizza: “Il vescovo ha spiegato il mio trasferimento con la necessità di turnazione, ma siccome in diocesi ci sono diversi parroci che stanno nella stessa parrocchia anche da quarant’anni la sua mi sembra una giustificazione che non sta in piedi e che in realtà copre altre ragioni meno nobili, che sicuramente emergeranno”, spiega don Cugusi al canale YouTg Cagliari.
In ogni caso, pare proprio che, oltre le contestazioni dei fedeli, la faccenda non finisca qui: “Non ho ricevuto alcun decreto di rimozione ‑ prosegue ‑, non ho rassegnato le dimissioni, per cui ritengo che sia invalida la nomina di un nuovo parroco mio successore. Per questo intendo fare ricorso alla Congregazione per il clero”. (luca kocci)

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Napoli, trasferito il prete anticamorra

Posted by ariccianontace su 4 luglio 2010

Una notizia da leggere con attenzione …

Da “IL MATTINO.IT”

Napoli, trasferito il prete anticamorra fedeli in rivolta a Secondigliano

di Giuliana Covella

NAPOLI (2 luglio) – A 53 anni sarà trasferito da quell’inferno nel quale ha vissuto e dal quale ha salvato tanti giovani per volontà dei suoi superiori. La motivazione ufficiale è che gli alti gradi dell’Opera Don Guanella hanno deciso per lo spostamento in un’altra comunità perché «fa parte della regola dell’avvicendamento che ogni comunità religiosa si pone per svariati motivi». Ma quali siano, di preciso, questi motivi non è dato saperlo. Don Aniello Manganiello, prete anticamorra di Scampìa e Secondigliano non potrà più salvare decine di giovani della periferia Nord da droga e criminalità organizzata. Il suo operato finisce qui, secondo quanto stabilito dai superiori della Confraternita.

Ma sia il parroco che i «suoi» giovani non ci stanno e per far sentire la loro voce hanno organizzato per stasera, alle 19.30, una protesta nel cortile dell’oratorio al Rione Don Guanella.
Secondo i bene informati, infatti, sarebbero altre le motivazioni che hanno spinto i religiosi guanelliani a dislocare altrove don Aniello. In primis per i suoi continui attacchi alla malavita, dal pulpito ma anche in altre occasioni. In secondo luogo per i suoi duri atti d’accusa all’indirizzo delle istituzioni locali, prima di tutto il Comune, che poco fanno, a detta del sacerdote, per gli enti religiosi e laici che si occupano di minori a rischio. Un prete «scomodo» dunque, non soltanto per i clan che governano il territorio della periferia settentrionale.

Mentre don Aniello si è chiuso in un silenzio inusuale per chi, come lui, non si è mai tirato indietro di fronte alle domande dei cronisti (da ieri, infatti, è all’oratorio per il campo estivo con i ragazzi del rione), si prepara la protesta di stasera promossa dai fedelissimi del parroco che hanno creato anche un gruppo su Facebook. «Con grande rammarico e profonda tristezza – afferma Rosario Ranno – i superiori dell’Opera Don Guanella hanno deciso il trasferimento di don Aniello in un’altra comunità. Vani sono stati i tentativi da parte del Consiglio pastorale che martedì scorso ha incontrato il superiore provinciale per dissuaderlo da questa decisione. Ma noi non ci arrendiamo e vogliamo che don Manganiello resti qui per portare avanti quel processo di innovazione che tutti conosciamo e in cui siamo stati coinvolti».

Le proteste dei residenti di Scampia e Secondigliano non si fermano qui. Stamattina, alle 10, alcuni ragazzi del gruppo di don Aniello lanceranno un appello dagli studi della trasmissione «Uno Mattina» su Rai1 alle istituzioni e ai vertici guanelliani, «per spiegare loro perché padre Manganiello non può e non deve andare via dal quartiere e dalla città». Alle proteste dei più giovani si uniscono quelle delle mamme, dei tanti genitori cui il sacerdote ha salvato i figli. Come Silvana (il nome è di fantasia), 58 anni, madre di tre figli, di cui due finiti dietro le sbarre per spaccio di stupefacenti. «Uno si è salvato – dice in lacrime la donna – solo grazie a don Aniello e a ciò che ha fatto per i nostri giovani». Storie che, da domani, potrebbero non ripetersi più se il parroco anti camorra sarà allontanato.

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